Aria di Blues quella che si è respirata durante la trasmissione di Lunedi 21 Febbraio. Ospite in salotto Stefano Gallotta, che noi di Harlem Rhythms amiamo chiamare B.B. Steve.
Lo conoscemmo circa venti anni fa ed aveva una chitarra molto simile alla Licille di B.B. King. Quella di Steve Gallotta era un’ Epiphone Les Paul, e sapeva farla suonare proprio come il Re del Blues. Io e Junior eravamo poco più che ventenni, lui appena diplomato. Allora era un giovincello con i capelli ricci e prendeva a morsi la chitarra. Ora è diventato papà e accarezza dolcemente la chitarra acustica, dalla quale sembra non essersi mai separato. Facevamo Blues già da qualche anno. Il batterista era spesso un tournista, al basso c’era Francesco Galatro, alle trombe Junior e Fernando Lettieri. Avevamo tutti un sogno in comune: quello di diventare dei musicisti. Il blues era la cosa che ci riusciva meglio. Fu proprio grazie all’incontro con Stefano Galotta che iniziammo a calcare i palchi di tantissimi Festival. Quando ripenso a quel periodo, rileggo spesso una nota scritta da Steve sul suo profilo Facebook.
“Summertime. Con la tromba avvolta da nastro adesivo a tappare piccoli fori che pure l’uso intenso aveva provocato. Di comprarne una nuova era obbligo. In quel periodo, però, si racimolavan soldi a destra e a manca suonando in qualsivoglia locale della provincia di Salerno. Dal campo sportivo di Serre alla festa di cinquantenni nel ristorante di Pontecagnano, passando per Altavilla Silentina, casa sua. Nando, così lo si chiamava, con la sua tromba. “Giandomblues”, Ciccio “Poldo”, “B.B.”, Andrea e tanti altri. Si chiamavano S.B.B. (Soul brother band). Le prove? Un po’ ovunque. A Battipaglia come a Paestum. Prima di partire, prima dei concerti, prima di tutto l’amicizia. Quattro risate, “ripassiamo i pezzi”, un bicchiere di vino o birra. Nella testa le note, nel cuore la musica. Poi gli spostamenti a Santa Maria di Castellabate per la serata nel villaggio vacanze. Una lavata veloce, strumenti da accordare dietro il sipario abbassato. La tromba da “tappare”. «Sfiata troppo – diceva Nando -. Mamma che fatica». Poi i riflettori e giù con la favola. Tutto dimenticato. Tutto via, lontano. A quel punto solo gli sguardi e le sensazioni. Il palco una casa; la casa, un appoggio tra un concerto e l’altro. I problemi tanti. La dialisi e prima ancora i viaggi al nord. «A Bologna andremmo da paura, lì il blues non lo san fare, dicono che noi del Sud siamo migliori perché ci portiamo le sofferenze della vita addosso. Un po’ come i neri d’America nelle piantagioni di cotone». Un sogno, lungo e intenso. Poi ho preso altre strade. Chi è rimasto e chi ha abbandonato quell’anima blues, jazz e funky che oggi riempie le piazze di vita vera, sudore, strade polverose, cene frugali, registrazioni in stanze strette a Fisciano, risate e amore. Nando è ancora lì”.
Chitarrista Blues, Scrittore e Giornalista
Queste sono parole di Stefano, scritte in una circostanza triste per tutti noi, ovvero la perdita del trombettista Fernando. Si perchè B.B. Steve non è solo un bluesman viscerale. Lui è anche giornalista e scrittore. Risale infatti al 2012 la pubblicazione del suo primo romanzo “Liberi in Galera“. Un libro tratto direttamente da un esperienza personale, nel periodo in cui Stefano ha svolto attività di volontariato nei campi di accoglienza per immigrati. Periodo in cui non si è mai sottratto alla responsabilità di indagini giornalistiche, per testate come “La Città” e “Cronache del Mezzogiorno”. Quello degli immigrati, un tema carissimo anche a noi di Harlem Rhythms, che guardiamo con occhio critico le recenti decisioni prese dal neo eletto presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
A volte non riesco a capire se suona come scrive, o se scrive come suona. So solo che dopo tanti anni la nostra è un amicizia che va oltre la musica, oltre il blues. Infatti in quegli anni dopo essersi persi di vista fu proprio la perdita di Fernando a riunirci nuovamente per la seconda era dei Soul Brothers.
Il Blues e l’inconsapevolezza. Quando la Blue Note è parte di te
Quello che di lui ci ha sempre colpito, era la capacità di suonare poche note con tantissimi timbri diversi. Come dice Junior lui è uno di quelli che il blues ce l’ha dentro. E incarna perfettamente lo spirito dei chittarristi blues Afro-Americani. Allora non conosceva le scale che suonava, ma aveva una padronanza della blue note che solo pochi possedevano. Se non altro il blues è una musica che viene dal cuore. E vi assicuro che ha un cuore grande così. Riusciva a comprendere che scala Blues e Pentatonica erano le regine del Blues. Ma non le suonò mai con quell’iper tecnicismo tipico dei chitarristi blues del nord o dell’ Europa Continentale. Oggi il suo suono è acustico, un pò ferroso, ma nelle sue note come un tempo riusciamo ad ammirare l’amore di un uomo per il blues.